A Palazzo Baldeschi l’intervento del critico cinematografico e saggista Giuseppe Ghigi sul ruolo delle immagini durante il primo conflitto mondiale. L’incontro organizzato dalla Fondazione Cariperugia Arte nell’ambito del ciclo La Grande Guerra.

PERUGIA – Cominciamo dalla conclusione. Dal “paradosso che si potrebbe dire che la Grande Guerra è tutta una fiction, tranne i 10 milioni di morti”. Tragicamente veri. Sotto i riflettori di Giuseppe Ghigi, saggista e critico cinematografico, c’è il cinema e l’immaginario che quest’ultimo, nelle sue varie declinazioni, ha costruito intorno alla Prima Guerra mondiale e depositato a livello individuale e collettivo. Tema decisamente attuale in una società tanto tempestata di immagini quanto incapace di saperle leggere. Un invito, perché no, ad insegnare a guardare le immagini.

L’analisi è frutto di una lunga ricerca fatta dallo stesso Ghigi, intervenuto ieri a Palazzo Graziani sul tema “Sono morto per finta: dai cinegiornali alla fiction. La Grande guerra al cinema” inserito del ciclo di incontri organizzato dalla Fondazione Cariperugia Arte e legato alla mostra voluta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia allestita a Palazzo Baldeschi. Un ricco lavoro di indagine che si snoda tra i meandri della storia e lo spazio della finzione confluito nel libro “Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra” dove vengono passati in rassegna i tantissimi film realizzati intorno al primo conflitto mondiale a partire dai cine giornali, nati nel 1908, fino al clas­sico di Moni­celli La Grande Guerra.

Non dimentichiamo che quel terribile conflitto fu il primo ad essere narrato attraverso le immagini.  Ma che cosa vede il pubblico, cosa vediamo noi? Noi crediamo di vedere la verità eppure nella maggior parte dei casi non è così.

Ghigi ci guida in un processo di decostruzione e ricostruzione che parte sin dalle origini, dal cinema “dal vero” che racconta la Grande Guerra. E ci spiega che piano piano la narrazione cinematografica ha condensato alcune figure che si sono stabilizzate nel tempo, prime fra tutte l’entrata in guerra, i cannoni, l’arruolamento dei soldati per poi entrare nel pieno della battaglia e dell’incontro con il nemico fino al ritorno a casa. Pur nelle variazioni, ciascuno di questi topos si riproduce nel tempo in modo simile. Ma se si vanno ad analizzare tali figure, vediamo che già all’epoca il cinema “dal vero” narrava e simulava. Ciò non significa che falsificava, ma in ogni caso narrava e, quindi, mediava la realtà raccontandola.

Per quanto riguarda la Prima guerra mondiale ciò significa che, ad esempio, la clamorosa scena di battaglia di “Battle of the Somme”, film del 1916 nonché il pòiù visto della storia del cinema prima dell’arrivo di Guerre Stellari, “era falsa ed è stato provato”, rileva Ghigi ponendo l’attenzione sul fatto che la scena dell’assalto della durata di circa un minuto e mezzo che mostra feriti e morti fu appositamente costruita, forse perché le poche immagini effettivamente riprese sul campo all’inizio della battaglia dai due cameramen – Geoffrey Malins, uno dei primi operatori ufficiali inviati in Francia e J.B. McDowell – furono considerate insoddisfacenti per impatto visivo.

Nell’impossibilità di mostrare la guerra, la fiction funzionò così bene sul fronte della propaganda da spingere 400mila soldati inglesi ad arruolarsi come volontari. E’ evidente che il film ha trovato un terreno fertile in un contesto in cui gli inglesi credevano di combattere una guerra giusta, in nome della libertà e della civiltà. E anche se quelle immagini narravano di una battaglia che aveva enormi costi, bisognava affrontarli. Un anno dopo non sarebbe stata la stessa cosa, così come oggi “Battle of the Somme” viene visto come un film di denuncia nei confronti della guerra, ma nel 1916 fu letto sotto un’altra ottica, almeno dagli inglesi. Diversamente, le immagini del film che riprendono gli inglesi dopo il primo giorno di battaglia con i prigionieri tedeschi secondo Ghigi possono essere ritenute autentiche, perché i soldati guardano la macchina da presa. E nonostante avrebbero dovuto quantomeno essere stremati dai combattimenti, tutti sorridono, persino i prigionieri, due dei quali escono dalla fila per tornare indietro e farsi riprendere di nuovo. A testimoniare la potenza del cinema, che però nella maggior parte dei casi si muoveva tra falsificazioni e riprese verosimili.

E’ il potere dell’immaginario prodotto dall’estetica delle immagini. Basti pensare – aggiunge ancora Ghigi – che la foto del soldato francese che avanza verso le linee nemiche ripreso frontalmente mentre sta per cadere, foto divenuta icona della Grande Guerra, è falsa. L’immagine derivava da un film del 1927 per il quale venne realizzata una brochure contente tale foto che poi fu estrapolata, se ne perse l’origine e nessuno si chiese più da dove provenisse. Difficile pensare che ci fosse un fotografo davanti a quel soldato, fotografo che sarebbe morto dopo pochi secondi se fosse uscito dalla trincea, e tanto meno che sarebbe stato così fortunato da avere in perfetta posizione gli strumenti per le riprese. Ma anche in questo caso il falso rappresenta il vero: sono morto per finta.

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